La paura della paura…è forse questa la rappresentazione migliore per descrivere il PANICO?
Questo termine viene frequentemente utilizzato nel nostro linguaggio comune per descrivere situazioni di intensa paura o momenti di black-out, in cui ci si è trovati a non sapere che fare, a perdere di vista anche le abilità più comuni, a provare il vero e proprio panico…quello che ci pietrifica, che ci terrorizza e che per qualche secondo ci fa pensare che “tutto è perduto”.
Ma allora se è così frequente un’esperienza di questo tipo cosa vorrà dire?
Che siamo una società di ansiosi?
Che c’è un’epidemia di disturbi di panico?
No…nulla di tutto ciò (per quanto forse un tantino più ansiosi di un paio di generazioni fa lo siamo diventati realmente), semplicemente il termine PANICO è estremamente rappresentativo di uno specifico stato d’animo e mentale che molti di noi hanno provato almeno una volta nella vita.
Ma sicuramente tra le persone che stanno leggendo questo articolo ci sarà qualcuno che starà pensando: “altro che almeno una volta nella vita! A me succede regolarmente…il mio si che è vero panico!”…eh sì, purtroppo è così…molti di noi si ritrovano ogni giorno a combattere contro un vero e proprio disturbo, una reale malattia psicologica che li condiziona e cambia completamente la loro vita.
La differenza sostanziale tra l’aver sperimentato una “situazione di panico” ed un “Attacco di Panico” sta nel fatto che spesso nelle situazioni di panico ognuno di noi, dopo qualche secondo di reale difficoltà, riesce a trovare le risorse per reagire e per uscire da quello strano stato confusionale, mentre chi soffre di un disturbo di panico, ha attacchi frequenti e passa una buona parte del suo tempo in preda alla paura che glie ne possano arrivare altri.
Questo vivere nella paura della paura condiziona fortemente la qualità della vita delle persone che ne soffrono, alcune non cambiano in modo evidente il loro modo di vivere,ma altre cominciano ad evitare determinate situazioni per paura di averne uno.
In effetti quasi tutti coloro che soffrono per lungo tempo di attacchi di panico prima o poi inizia ad evitare una o più situazioni per la paura di avere in esse un attacco.
Le situazioni più comunemente evitate sono i luoghi affollati, gli spazi aperti (come i parchi, le piazze), i mezzi di trasporto, gli spazi chiusi o posti lontani da casa dove comunque è difficile ottenere aiuto.
Chi soffre di un Disturbo da Attacchi di Panico (DAP) è spinto da differenti motivazioni nell’evitare queste situazioni, da una parte c’è chi crede che sia quella situazione a causargli l’attacco di panico (per esempio chi ha avuto più di un attacco di panico all’interno di un centro commerciale, tenderà ad evitarlo in quanto avrà la convinzione che sia quel luogo a generarli). Dall’altra parte la persona tenderà ad evitare la situazione per paura delle conseguenze sociali che potrebbe avere un attacco di panico in quel luogo (pensiamo a come potrebbe essere imbarazzante per qualcuno l’idea di avere un attacco di panico durante una convention, mentre la sala è piena di gente e tutti ti possono vedere).
In altri casi ancora la persona evita le situazioni in cui avere un attacco di panico potrebbe essere pericoloso (ad esempio smette di guidare la macchina per paura di perdere il controllo e di avere un incidente durante un attacco).
Spesso chi soffre di questo disturbo “condiziona” per via indiretta la vita di chi gli sta accanto (mariti, figli, genitori) a causa delle frequenti richieste di accompagnamento o di supporto nelle situazioni temute e non sempre questa paura viene compresa dai propri famigliari.
Molti pazienti che arrivano a chiedere aiuto, magari dopo anni ed anni di sofferenza, riportano sentimenti di vergogna, di imbarazzo nei confronti del problema e soprattutto frustrazione per il non essere compresi, ma anche gli stessi famigliari si ritrovano in uno stato di totale impotenza di fronte alle richieste di rassicurazione sempre più assillanti del congiunto.
Negli anni diversi studi si sono occupati di verificare l’efficacia dei trattamenti proposti per la risoluzione del DAP e sicuramente tra questi ha trovato importante spazio la Psicoterapia Cognitivo Comportamentale, che con le sue tecniche ed il suo approccio evidence-based, in questi anni ha cercato di delineare un modello di trattamento funzionale alla lotta contro questo disturbo.
In effetti gli studi di efficacia (Roth e Fonagy, 1996) dimostrano che l’utilizzo di trattamenti cognitivi (psicoterapia) genera un miglioramento del Disturbo di Panico (senza agorafobia) dell’85% dei casi, ed è questo attualmente il trattamento per eccellenza consigliato alla risoluzione del problema.
Questi dati fanno ben sperare e dovrebbero essere un incoraggiamento per tutti coloro che soffrono di questo disturbo da molto tempo e che ancora non hanno trovato una risposta efficace alla loro condizione.
Dr.ssa Laura Galuppi
Psicologa e Psicoterapeuta Cognitivi Comportamentale
Contatti: lauragaluppipsicologa@gmail.com
Cell. 338.8144743
Fonti Bibliografiche:”Psicoterapie e prove di efficacia. Quale terapia per quale paziente”, Roth e Fonagy, 1996; Andrews G. et al (a cura di) “Trattamento dei Disturbi d’Ansia”, Centro Scientifico Editore, 2003